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martedì 28 luglio 2009

La raccolta di semi forestali

Incalza l'epoca della raccolta, voglio perciò condividere alcune riflessioni.
La salvaguardia delle biodiversità si ottiene, oltre che con la protezione dell’ambiente nel quale le piante vivono, anche attraverso l’attività di individuazione, selezione e controllo del materiale di propagazione forestale che porta, alla fine, a produrre il materiale vivaistico che verrà diffuso sul territorio.

Sintesi della tutela ex situ della biodiversità forestale

La necessità di fissare delle prescrizioni nell’impiego dei materiali forestali di propagazione, sia di produzione interna che di importazione, indusse diversi paesi, soprattutto quelli ove sono molto accentuate le variazioni di clima e di suolo, ad adottare provvedimenti legislativi per disciplinare la produzione ed il commercio delle sementi forestali e ad istituire speciali organismi di controllo.
In Europa la prima legge sui semi si ebbe in Germania (1934), mentre in Italia, nel 1949, Pavari, su incarico della Direzione Generale per l’Economia Montana e per le Foreste, iniziò a scegliere i primi boschi di conifere da destinare alla raccolta del seme, ponendo così l’attenzione sulla selezione delle provenienze.
Nel 1961 venne pubblicato il Libro Nazionale Boschi da Seme (L.N.B.S.) e contemporaneamente emanata una circolare ministeriale che vietava nei rimboschimenti sovvenzionati dallo Stato l’uso di sementi non provenienti dai boschi da seme, ritenuti pregevoli in base alle loro caratteristiche selvicolturali.

Nel 1973 venne promulgata la prima legge generale (L. 22.05.1973 n. 269), relativa alla produzione ed al commercio delle sementi e piante da rimboschimento.
Rilevanti novità vengono introdotte dal DL 18 maggio 2001, n. 227 “Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57” . In particolare l’art. 9 prevede che le regioni istituiscano il libro dei boschi da seme per il territorio di propria competenza, in cui sono iscritti i boschi, gli arboreti, gli alberi e le piantagioni di alberi da seme per la produzione di materiale forestale di moltiplicazione. Le regioni inviano al Ministero delle politiche agricole e forestali i dati degli elenchi suddetti al fine di costituire il Registro nazionale del materiale forestale di moltiplicazione.

L’articolo 10 individua le strutture statali per la conservazione della biodiversità forestale e riconosce gli stabilimenti CFS per le sementi forestali di Pieve S. Stefano e Peri come Centri nazionali per lo studio e la conservazione della biodiversità forestale.
L’intera normativa, con il Decreto Legislativo 10 novembre 2003, n. 386 recante "Attuazione della direttiva 1999/105/CE relativa alla commercializzazione dei materiali forestali di moltiplicazione" che abroga la legge 269/1973, viene adeguata alla legislazione comunitaria. Le regioni sono tenute, entro il 2009, a recepire la normativa nazionale: la regione Emilia-Romagna lo fa con la LR 6 Luglio 2007, n° 10 e si dota di 191 nuove aree di raccolta e boschi da seme, definiti materiali di base, che si aggiungono ai preesistenti 3.
Solo il materiale forestale di moltiplicazione (semi, piantine, parti di piante, cloni) proveniente dai materiali di base, può ottenere la certificazione di provenienza, necessaria per la commercializzazione e distribuzione in regione, nell’ambito delle attività di riforestazione e impianto, con l’esclusione dell’arboricoltura da frutto. Le specie di legge sono 39, tutte arboree: scelta che non soddisfa le esigenze degli interventi di recupero e ripristino ambientale, i quali richiedono l’impiego di materiale autoctono idoneo in larga misura di specie non ricomprese nella lista ufficiale.
Dei 194 “boschi da seme” emiliano-romagnoli distribuiti nelle 9 province, 37 sono nel parmense, 31 in territorio montano; il seme raccolto in queste aree alimenta parte della produzione di 2 vivai del parmense (il nostro e quello del Parco Reg. dei Boschi di Carrega) e rifornisce su richiesta, lo stabilimento forestale o Centro nazionale per lo studio e la conservazione della biodiversità forestale di Peri (VR); considerato che gli interventi forestali al di sotto dei 500 m. di quota sono pressochè inesistenti e non più previsti, solo una minima parte del materiale derivato dalle aree suddette viene impiegato nel territorio di provenienza; le specie montane e rare sono necessariamente escluse; eppure il paesaggio è un valore economico riconosciuto dalle politiche di sviluppo rurale e di molto aiuto nelle iniziative di divulgazione ambientale, ma c’è una bella differenza tra le zone umide di quota, i lastroni a Pero corvino e Sorbo alpino della Rocca Pianaccia, le pietraie a Ribes e Rosa alpina, e “l’indifferenziato” del castagneto o la “monotonia” della faggeta, solo per citare due formazioni forestali su cui sono stati fatti molti investimenti grazie ai progetti finanziati dal PRSR (piano regionale di sviluppo rurale).
Si può concludere che le finalità dichiarate della LR 10/2007 di “tutela e diffusione della biodiversità vegetale e del patrimonio genetico forestale …” non sono per ora perseguibili sul territorio montano, mentre la progressiva rarefazione di specie e ambienti ad elevato indice di naturalità è una realtà sempre più percepibile.
Nadia.