Avete spazio da condividere con la flora autoctona? Si? Allora la flora autoctona sarà felice di condividerlo con Voi.

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Importante! Dall'inizio del 2013 siamo diventati "piccoli produttori", di conseguenza non possiamo più emettere fattura e passaporti fitosanitari, normalmente necessari negli interventi a finanziamento pubblico.

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Per eventuali contatti non esitate ad utilizzare il seguente indirizzo:

nadiaenrico@tiscali.it


L'indirizzo nadia_enrico@alice.it non è più funzionale.

venerdì 30 dicembre 2011

Consigli per la raccolta dei semi delle specie del Genere Acer.

a) Controllo della bontà del seme.
b) Inconvenienti frequenti.
c) Metodo di raccolta più pratico.
d) Periodo.
e) Vagliatura o pulitura.
f) Conservazione del seme.
g) Stratificazione del seme.
h) Semina.
i) Protezione della semina.

Genere Acer: Acer campestre, Acer monspessulanum, Acer opalus, Acer platanoides, Acer pseudoplatanus.

a) I semi di Acer platanoides e pseudoplatanus sono protetti da una buccia morbida e facilmente apribile anche con le unghie; quelli di Acer campestre, monspessulanum e opalus sono contenuti da un nocciolo secco e duro, il quale per essere aperto richiede l’uso di una pinza; i frutti degli aceri portati a coppie unite prima della dispersione e completati da un’ala per ogni nocciolo si chiamano di-samare. Il seme di colore verde vivo, deve occupare il suo loculo nella di-samara ed essere inequivocabilmente fresco; in pratica i due dicotiledoni della futura plantula sono ripiegati insieme, e anziché essere bianchi sono già verdi sebbene il loculo sia perfettamente chiuso.
b) All’interno del loculo è possibile trovare larve di curculionidi specifici del genere; è anche possibile trovare l’embrione abortito o il loculo vuoto.
c) Scrollatura con rete sottostante con tempo asciutto e calma o brezza leggera.
d) I periodi sono ottobre per Acer monspessulanum, platanoides, pseudoplatanus e novembre per Acer campestre, opalus. In zone particolarmente riparate dai venti si può arrivare a tardare anche un mese. Ad ogni modo non conviene raccogliere prima che le foglie siano completamente appassite e almeno in gran parte cadute, e nemmeno con tempo umido/bagnato perché i semi non si staccano.
e) Con vagli appositi o anche di fortuna (molte casse per ortofrutta sono vagli già fatti) si possono facilmente separare le samare da foglie, rametti secchi e altre impurità. Non è possibile separare le samare vane da quelle contenenti i semi senza aver disalato la samara.
f) Le samare si possono conservare asciutte in luogo chiuso, fresco e riparato dalla luce per dodici mesi e non oltre.
g) Solo per le samare di Acer campestre e opalus si può stratificare il seme per 10 mesi partendo da febbraio, soprattutto nel caso in cui la raccolta sia stata fatta a dicembre: a quel punto infatti non è detto che una semina immediata dia luogo ad una buona nascita nella primavera successiva, ma a due nascite nelle due primavere successive. Durante la stratificazione il seme deve essere protetto dai topi campagnoli (Apodemus sylvaticus).
h) La semina si esegue entro fine anno in terra o in semenzaio all’aperto; per ottenere una buona nascita conviene mantenere bagnato il substrato o terreno soprattutto in caso d’inverno siccitoso. Tutte le specie del genere Acer danno buoni risultati se seminate in terra, e reagiscono bene alle successive operazioni di cavatura e trapianto a radice nuda. Attenzione! I semi di A. platanoides seminati all’inizio dell’autunno tendono a germinare subito; per evitare ciò ritardare la semina fino all’inverno.
i) Durante il periodo invernale la semina di ogni specie del genere Acer deve essere protetta dal topo campagnolo (Apodemus sylvaticus), soprattutto in semenzaio, con appositi ostacoli meccanici invalicabili.

Etica del raccogliere semi.

Etica del raccogliere semi.

Senza soffermarci sulle normative vigenti che potete consultare sui siti degli Enti Preposti, voglio ricordare solo alcune regole fondamentali alle quali sempre coloro che si accingono ad intraprendere un attività di raccoglitore, dovrebbero attenersi.
Una volta individuate le piante madri della specie che vi interessa dovete:
- Per prima cosa rintracciare il proprietario e chiedere l’autorizzazione a raccogliere.
- Considerare che l’entità del raccolto deve essere trascurabile rispetto alla produzione di seme nell’area soggetta alla raccolta, perché non deve essere minimamente compromessa la capacità di rinnovamento, e , non meno importante, in molti casi anche la fauna ha diritto a nutrirsi dei frutti o semi che state raccogliendo.
- In ogni caso, preservare le piante madri anche a costo di non effettuare la raccolta: non ha senso danneggiare, tagliare o abbattere le piante madri con il solo scopo di facilitare la raccolta. Chi raccoglie, col tempo impara che le piante madri sono piante particolarmente preziose, perchè spesso sono sempre le medesime a produrre e consentire la raccolta di seme di buona qualità.
- Se volete o dovete raccogliere semi di specie rare, evitate assolutamente di raccogliere da individui isolati o popolamenti deboli e marginali: cercate sempre popolamenti forti e in buona salute e anche in questo caso, a maggior ragione, limitate al massimo la quantità raccolta.
- Raccogliere in natura è principalmente una questione di fortuna in quanto i fattori che determinano stagioni di buon raccolto sono molteplici e prevalentemente non controllabili; per il raccoglitore, è fondamentale considerare ed accettare questo fatto. Se la fortuna vi assiste, assieme al raccolto la pianta vi trasferisce anche le proprie possibilità riproduttive e da quel momento è vostro preciso dovere non lasciare nulla al caso.

sabato 30 luglio 2011

Sorbo domestico (Sorbus domestica)



Considero questa specie tra le più importanti, se non la più importante, di quelle che allignano nella nostra regione; se è vero che una volta esistevano razze bovine dalla triplice attitudine (da latte, da carne e da lavoro), anche il sorbo domestico tra le piante evidenzia almeno tre importanti peculiarità: produce frutti dal sapore unico e diverso da tutte le altre rosacee, produce un legname diritto di grande pregio e un tempo utilizzato in particolare per la costruzione dei tavoli, è anche una splendida pianta col suo portamento slanciato e la chioma rada che non ombreggia mai troppo: in maggio compare la fioritura bianco-crema in corimbi, e all'autunno le piante che non hanno fruttificato vi risarciscono regalandovi una splendida colorazione dal giallo, all'arancio, al rosso.
Trattasi anche di una specie molto rustica e longeva, adattabile e resistente alle avversità climatiche, che dà il meglio in corrispondenza delle annate siccitose; le fruttificazioni più copiose e sane infatti normalmente avvengono nelle estati più calde e asciutte, mentre le mancate fruttificazioni o l'insorgere di patologie fungine o batteriche si manifestano nelle primavere troppo umide e piovose con sbalzi di temperatura bruschi. Si adatta bene ad ogni tipo di terreno, con preferenza per quelli argillosi; ovviamente sui terreni più freschi e fertili dà risultati migliori che non su quelli poveri e aridi dove comunque resiste bene; spesso lo si trova splendido e rigoglioso anche spontaneo nei boschi di cerro e roverella, e spesso veniva accompagnato al castagneto da frutto: non a caso le proprietà dei suoi frutti di migliorare la nostra digestione compensano quelle delle castagne che notoriamente l'appesantiscono.
Nessun uso è precluso a questa specie che sebbene porti l'aggettivo "domestica" è una specie selvatica, e nel selvatico possiamo trovare tutta la variabilità di frutti che i frutticoltori innestano a volte anche sul biancospino (pratica scorretta, sempre meglio innestare sul sorbo stesso); anche la coltivazione per i frutti e per il legname è più che consigliabile e non richiede particolari cure, se non la spalcatura nel secondo caso.

lunedì 27 giugno 2011

Acer monspessulanum; Acero minore





Dedico uno spazio a questa specie poco conosciuta e spesso confusa con l'acero campestre; si tratta dell'acero più tipico della macchia meditarrenea della penisola, presente anche se spesso non comune in tutte le regioni.
Le sue caratteristiche di estrema rusticità e resistenza agli estremi climatici lo rendono adatto ad essere impiegato in molte situazioni, ed in particolare in tutte quelle con terreni poveri aridi e superficiali, dal livello del mare fino a 1000mslm.
La sua crescita lenta e le sue modeste dimensioni nonostante la longevità, la sua robustezza e il fitto fogliame minuto, rivelano la sua adattabilità anche come specie ornamentale da impiegare soprattutto in spazi ridotti anche in aree urbane; non produce frutti eduli ovviamente, ma non necessita nemmeno di cure particolari non essendo soggetto a patologie fitosanitarie ricorrenti.

martedì 17 maggio 2011

Il genere Tilia.

Sono 2 le specie di Tiglio spontanee sull'Appennino Settentrionale: il Tiglio volgare o europeo (Tilia x vulgaris)e il Tiglio selvatico (Tilia cordata).
Entrambe sono poco diffuse, anzi il tiglio selvatico è proprio raro, e di conseguenza poco conosciute; noi stessi abbiamo imparato qualcosa di più riguardo a loro coltivandole, e ciò che ci ha sorpreso di più è che si tratta di specie rustiche e resistenti, ossia dure a morire; la prima domanda che ci siamo posti è: se sono così rustiche e tenaci come mai sono così poco diffuse se non addirittura rare?
Seconda considerazione: la loro coltivazione non è proprio facile, il Tiglio selvatico nasce abbastanza bene e con buone percentuali anche di sopravvivenza, mentre il Tiglio volgare può rimanere dormiente per più anni (abbiamo osservato fino a quattro anni di dormienza) e nascere con basse percentuali e buona sopravvivenza.
E' molto importante proteggere il seme dai roditori, i quali probabilmente incideranno molto anche sulla mancata dispersione e sul mancato successo riproduttivo del seme in natura.
Una volta superate le prime fasi dello sviluppo le piante crescono senza problemi, non hanno particolari esigenze e nella messa a dimora si adattano bene ai versanti settentrionali più freschi, il selvatico a quote collinari e basso montane, il volgare nella media montagna fino a 1500 mslm.
Terza considerazione: se sono vere le prime due, perchè per l'utilizzo ornamentale le nostre due specie non sono quasi mai prese in considerazione e si ricorre sempre a specie alloctone?

sabato 23 aprile 2011

Pero corvino (Amelanchier ovalis)

Ecco alcune immagini di un frutteto con pero corvino e ribes rosso che abbiamo realizzato 10 anni fa in un nostro terreno esposto a nord/nord-est.





Il pero corvino rappresenta un'ottima soluzione per terreni poveri, aridi e ventosi; in questo caso è emerso anche che lepri e caprioli non ne sono particolarmente ghiotti, tanto che alla fine il ribes rosso è risultato più danneggiato, però anche dalle arvicole.

giovedì 14 aprile 2011

Anomalie climatiche.

Anche il vivaismo, come tutte le attività del settore agricolo, è molto esposto alle bizze del clima e i rischi di insuccesso nelle coltivazioni forestali sono sempre elevati.
La nevicata con annessa irruzione di aria gelida che si verificò nel marzo 2010 ha lasciato il segno: alcune semine che avevamo già eseguito ed esposto all'aperto di specie mediterranee e non, sono andate completamente perse, e tra queste in particolare Asparagus acutifolius, Phyllirea Latifolia e Prunus Avium; forse per motivi diversi non è nato nulla di semine, anche abbondanti, di tre specie montane come Daphne mezereum e Rhamnus alpinus e Lonicera xylosteum, la prima particolarmente ostica, ma le altre due invece facili.
Per contro sono riuscite bene due semine alle quali tenevamo particolarmente: Lonicera etrusca (è stata la prima volta che la semina è riuscita bene) e Pistacia Terebinthus; di queste e di altre specie come Ribes petraeum e Amelanchier ovalis avremo nuove piantine quest'autunno.
Dopo un inverno non particolarmente freddo, ma lungo e con frequenti precipitazioni, anche questa prima metà di aprile 2011 ci ha riservato un andamento particolarmente sgradito, con temperature elevate, ventilazione continua seppur a regime di brezza e totale mancanza di precipitazioni; abbiamo iniziato ad irrigare ai primi d'aprile, un mese prima rispetto alla norma, due mesi prima rispetto all'anno scorso; oggi fortunatamente piove ed è ritornata la neve sopra 1300 mslm e questo dovrebbe aiutare le nascite che sono in corso e sembrano regolari salvo un ritardo di due/tre settimane.
L'inverno appena trascorso ha comunque dato il colpo di grazia ad alcune specie che erano uscite malconce da quello precedente e tra queste diverse Leguminose; non rifaranno mai più le foglie anche molte cerrosughere e aceri opali per i quali avevamo adoperato un substrato inappropriato.

giovedì 3 marzo 2011

Il genere Ulmus.


Un olmo montano in Val Bratica qualche anno fa; ora è seccato.

Se non fosse per il fatto che una terribile malattia li ha quasi estinti, come nel caso dell'olmo montano, o in gran parte ridotti a miseri cespugliamenti semi rinsecchiti come nel caso dell'olmo campestre, gli olmi sarebbero ancora una delle nostre specie più importanti, e occuperebbero da par loro gli spazi che gli spettano nei nostri boschi collinari e montani.
La grafiosi (ophiostoma graphius-ulmi) è una malattia fungina trasmessa da insetti scolitidi, che si sviluppa negli olmi quando questi sono nel pieno del loro sviluppo, e li secca nel giro di uno o due anni; quanto più un'olmo è ben sviluppato e cresce rapidamente, tanto più è facile che questo fungo, che a sua volta si sviluppa bene nelle lunghe ramificazioni, infetti la pianta; l'epidemia di grafiosi ha iniziato a manifestarsi nel XX° secolo, e le cause che l'hanno scatenata non sono ben chiare: si pensa comunque che una prima forma meno virulenta sia arrivata dal continente asiatico a quello europeo intorno agli anni venti, dove è stata descritta per la prima volta in Olanda; dal continente europeo è approdata al continente nordamericano circa vent'anni dopo, e dopo altri venticinque trenta anni e riapprodata al continente europeo da quello americano, con una forma molto più virulenta e dannosa che ha causato verso la fine degli anni '60 la morte di milioni di piante in tutta europa, e tra queste la quasi totalità di quelle più annose e rappresentative. Chi può smentirmi però se dico che anche il forte aumento dell'inquinamento dalla seconda guerra mondiale in poi ha senz'altro contribuito ad indebolire la tenacia degli olmi e di molte altre specie, favorendo l'insorgere di queste malattie delle piante?
Nell'Italia settentrionale, le specie di olmo presenti sono 2, entrambe molto sensibili alla malattia: l'olmo campestre (Ulmus minor) e l'olmo montano (ulmus glabra). La prima caratteristica e ancora piuttosto frequente nella pianura e nelle zone collinari predilige terreni fertili e profondi, prevalentemente argillosi; la seconda tipica invece delle foreste montane occupa le zone lasciate libere dal faggio e in particolare i versanti settentrionali su suoli pietrosi; nell'Appennino settentrionale l'olmo montano è sopravvissuto in pochissime stazioni con le suddette caratteristiche, ed è veramente difficile incontrarne. La Val Bratica e la Val Parma sono le zone di mia conoscenza con la presenza più cospicua: si tratta comunque di alcune stazioni isolate con pochissime unità ciascuna dove ancora negli ultimi anni sono morte delle piante. A Grammatica ho parlato con un anziano che descriveva la specie come abbondante ancora nel dopoguerra, ricordando anche i particolari usi del suo legname pregiato.
Entrambe le specie comunque non sono ancora state definitivamente sconfitte dalla grafiosi, e di entrambe si possono ancora trovare esemplari isolati di notevoli dimensioni che sembrano essere immuni; entrambe le specie, anche nei loro esemplari più malconci sono in grado di produrre un gran numero di semi dai quali nascono nuove piante vigorose, anche se quelli dell'olmo montano dell'Appennino manifestano una scarsa vitalità; io ho deciso già da molti anni di aiutare gli olmi a resistere, e lo scorso anno 3 degli olmi montani che avevo piantato oltre dieci anni fa sono seccati; è stata una delusione,ho provveduto al loro abbattimento e smaltimento del legno infetto nel minor tempo possibile anche se nella mia zona gli olmi campestri secchi sono presenti in molti posti e pochi provvedono a toglierli.
Se avete terreni in media montagna in versanti settentrionali, ricordatevi anche voi dell'olmo montano.

martedì 1 marzo 2011

Fraxinus oxycarpa (Frassino meridionale o ossifillo o di pianura).



Foto sopra: un frassino meridionale defogliato; sotto: la frenetica attività dei cantaridi.

Mi è sempre molto piaciuta questa specie, come del resto anche gli altri frassini; delle nostre 3 specie è quella che più si adatta ai terreni asfittici, e come gli altri frassini è molto rustico e adattabile, tanto da poter essere tranquillamente utilizzato in situazioni estreme come i rimboschimenti su terreni argillosi franosi.
Infatti in alcuni rimboschimenti del dopoguerra fatti su terreni argillosi principalmente con Pinus nigra e Pinus sylvestris venivano introdotti anche dei Fraxinus oxycarpa, la progenie dei quali ora a distanza di oltre cinquant'anni sta pian piano sostituendo i pini neri austriaci che molto hanno sofferto per le infestazioni di processionaria e le forti siccità a partire dal 2003 in poi.
E' anche un albero che ben caratterizza determinate consociazioni forestali della collina Emiliana dove lo si ritrova all'interno dei cerreti a quote non superiori a 500/600 metri sul livello del mare spesso accompagnato da Malus florentina e Tilia cordata.
Ho sempre consigliato di mettere questa specie anche perchè, come gli altri frassini, non dà problemi d'alcun tipo compresi quelli di carattere fitosanitario; negli ultimi anni però anche nella nostra zona, ha fatto la sua comparsa un coleottero mieloide, tanto bello quanto indesiderato: la Lytta vesicatoria, in italiano cantaride; questi insetti si nutrono esclusivamente delle foglie di frassino meridionale o maggiore verso la fine della primavera; iniziano a consumare intere piante partendo dall'alto e impiegandoci alcuni giorni; le piante rimangono completamente defogliate, e alla loro base gli escrementi emanano un odore sgradevole, per cui anche le sue peculiarità ornamentali vengono meno; le piante poi non riescono a rimettere il fogliame perduto nell'arco della stagione, per cui anche la loro crescita risulta ridotta; se poi hanno allegato semi accade che questi rimangano tutti vani.
Le infestazioni di questi insetti riguardano singole piante per volta, e non si ripresentano regolarmente ad ogni stagione sulle stesse piante.

mercoledì 16 febbraio 2011

Impianto di filari misti con specie fruttifere.



Nella foto: un melo Calvilla Bianca innestato direttamente su selvatico a dimora, e accompagnato a un ginepro (innesto di 5 anni).

Nella nostra piccola azienda, su terreni poveri e marginali, caratterizzati da bruschi cambi di pendenza, versante e tipo di terreno abbiamo ripristinato vecchie piantate e soprattutto ne abbiamo create di nuove.
Nell'impianto di queste abbiamo scelto di rispettare almeno 10m sulla fila tra gli alberi da frutto principali, almeno 5m tra gli alberelli o i grandi cespugli, almeno 2m tra i cespugli e 0,5 - 1m tra le specie a portamento suffruticoso.Per agevolare e razionalizzare le lavorazioni coi mezzi agricoli, tutte le file sono state disposte parallelamente tra di loro e il più possibile vicine alla linea di massima pendenza; la distanza minima tra le file 20m, coltivati a ortaggi, cereali, leguminose.
Questo ci ha permesso di mettere numerose specie e varietà in promiscuità sfruttando poco spazio, e tenendo distanti tra di loro gli alberi appartenenti allo stesso genere e specie; osservando poi l'andamento del terreno, la sua composizione e la sua esposizione abbiamo deciso, posta per posta, quale poteva essere la specie più adatta da mettere a dimora.
Sono stati considerati alberi principali da frutto: il melo, il pero, il sorbo domestico, il mandorlo, il fico e l'albicocco; le varietà di melo occupano circa il 50% delle poste, quelle di pero circa il 30%. Il ciliegio lo abbiamo ritenuto inadatto per l'inserimento nelle nostre piantate, e più congeniale come pianta isolata o al margine di boschi o impianti arboricoli forestali; allo stesso modo avremmo considerato noce e castagno se li avessimo utilizzati.
Sono stati considerati alberelli o grandi cespugli da frutto: il nocciòlo, il corniolo, il nespolo, il pesco, il melo fiorentino e la vite abbinata ad un tutore vivo come acero minore od orniello.
Sono stati considerati come cespugli i piccoli fruttiferi selvatici, che non hanno portamento invadente: i ribes, il melograno e in via sperimentale il pero corvino e l'asparago spinoso.
Le specie aromatiche appartenenti alla famiglia delle Labiate, possono essere utili per colmare gli spazi vuoti sulla fila, anche perchè si sono confermate ottimi repellenti per lepri e caprioli.

mercoledì 9 febbraio 2011

Perchè mettere piante ?

Coi tempi che corrono e con la gente d'oggi abituata ad esigere tutto e subito, in nome del consumismo più sfrenato, cerchiamo di metterci nei panni dell'uomo o della donna qualunque, e se ci riusciamo, proviamo a chiederci perchè costoro dovrebbero mettere a dimora delle piante, e ci rispondiamo secondo le nostre reali convinzioni, sperando di trasferirle a qualcuno di voi.
Ci sembra ormai evidente che coloro che hanno la possibilità di mettere piante per vari motivi e che quindi dispongono di superfici a tale scopo, non sono più solo agricoltori, latifondisti o benestanti dei ceti medio alti della società, ma anche medio piccolo borghesi che escono dalle città in cerca di nuove dimore in campagna e spesso le trovano con terreni annessi; spesso la prima impressione è che non abbiano un'idea precisa di come utilizzare il terreno; talvolta sembra che un misto di diffidenza e presunzione impedisca loro di acquisire o accettare consigli su cosa fare del terreno. Di fatto comnque, un terreno agricolo in mano a nuovi proprietari non agricoltori rischia di rimanere inutilizzato se prima era coltivato, o di essere definitivamente abbandonato se già era in corso d'abbandono.
Se disponiamo dunque di una superficie agricola grande o piccola e non abbiamo intenzione di: fabbricarci sopra, lasciarla a disposizione di agricoltori, farci un impianto a pannelli fotovoltaici o altro che non lasci spazio ad attività o idee alternative, possiamo concordare che qualsiasi attività di prosecuzione o variazione di attività agricole e d'allevamento ammette o perlomeno non esclude completamente la possibilità di impiantare alberi e arbusti.
Soprattutto se fossimo nei panni di giovani che vogliono iniziare a lavorare all'aria aperta traendoci inanzitutto prodotti per autoconsumo, e poi anche per la vendita, non trascureremmo assolutamente di mettere alberi da frutto dove è possibile, e altri alberi da legname pregiato, da legname da ardere e da lasciar crescere liberamente per migliorare il paesaggio dove non sia conveniente fare altro. Un giovane che pianta alberi lo fa soprattutto per sè, e nel corso della propria esistenza godrà dei risultati del proprio lavoro sotto ogni punto di vista, compresa la gratificazione derivante dalle conoscenze ed esperienze acquisite.
Se fossimo invece un pò più avanti con gli anni (e in effetti un pò li siamo), il nostro piantare alberi sarebbe più un gesto nobile rivolto alle generazioni future e non strettamente alla nostra discendenza; se però lo facciamo e nel contempo non trasferiamo questa nostra passione ai giovani, il nostro operato potrebbe presto essere vanificato da chi è digiuno in materia botanica.
Come dicevo in principio, al giorno d'oggi la gente corre di quà appresso alle proprie esigenze ed ambizioni, di là per il desiderio di evadere dalle numerose angherie che il vivere nella società moderna ci costringe a subire, e se avanza un pò di tempo, energia e denaro, sono veramente pochi coloro che scelgono di dedicarli alla forestazione, all'arboricoltura o alla frutticoltura; pochissimi se contiamo solo quelli che praticano tali attività in modo serio e corretto.
Al contrario, sono molto numerosi invece quelli che si dedicano ad un giardinaggio prettamente ornamentale, il cui unico fine sembra l'ostentazione di un elevato tenore di vita, ma che da un punto di vista naturalistico ambientale non dice nulla, non caratterizza il territorio, e spesso comporta il ricorso ingiustificato all'uso di fitofarmaci che aggiunge solo inquinamento all'inquinamento.
La possibilità di accedere a contributi della Comunità Europea per intraprendere opere di rimboschimento, arboricoltura e frutticoltura, sono state drasticamente ridotte negli ultimi anni,soprattutto nei territori montani (praticamente quelli che adesso franano a valle); molti interventi di rimboschimento realizzati nel dopoguerra avevano dato pessimi risultati, conseguenza questi di errori grossolani in fase di progettazione e realizzazione e di scarsa o nulla manutenzione; così l'erogazione degli unici contributi che sarebbe stato giusto continuare ad elargire è venuta meno, senza tener conto che chi lavora con le piante gode dei benefici che ne derivano in tempi lunghi o molto lunghi.
Chi dunque è ancora così stupido da mettersi a piantare alberi, considerato tutto questo?
Dobbiamo infatti considerare l'idea che a molti appaia "stupido" o inconcludente impiegare il proprio tempo e denaro a mettere alberi piuttosto che edificare, aprire piste da sci, campi da calcio, costruire strade, parcheggi, centri commerciali...e dobbiamo accogliere questa istanza per dare una versione dei fatti alternativa; potremmo cominciare ad elencare tutti i buoni motivi e i vantaggi ecologici, economici, etici e olistici che derivano da una così semplice attività, ma nel fare questo rischieremmo di annoiare e non otteremmo l'effetto desiderato.
Diciamo solo che restituire ai nostri alberi parte dello spazio che abbiamo loro sottratto, non sempre per validi e leciti motivi, significa tornare a sancire una alleanza che in passato è stata particolarmente proficua solo per il genere umano, il quale è debitore nei confronti non solo del mondo vegetale, ma di tutto il resto della biosfera;perchè ciò possa accadere è necessario aprire la propria mente e trovare lì lo spazio che vogliamo e possiamo condividere; in questa nuova alleanza il genere umano deve per forza rientrare come elemento bilanciante all'interno degli ecosistemi, pena la sua astrazione da essi e la conseguente inevitabile catastrofe.