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giovedì 3 marzo 2011

Il genere Ulmus.


Un olmo montano in Val Bratica qualche anno fa; ora è seccato.

Se non fosse per il fatto che una terribile malattia li ha quasi estinti, come nel caso dell'olmo montano, o in gran parte ridotti a miseri cespugliamenti semi rinsecchiti come nel caso dell'olmo campestre, gli olmi sarebbero ancora una delle nostre specie più importanti, e occuperebbero da par loro gli spazi che gli spettano nei nostri boschi collinari e montani.
La grafiosi (ophiostoma graphius-ulmi) è una malattia fungina trasmessa da insetti scolitidi, che si sviluppa negli olmi quando questi sono nel pieno del loro sviluppo, e li secca nel giro di uno o due anni; quanto più un'olmo è ben sviluppato e cresce rapidamente, tanto più è facile che questo fungo, che a sua volta si sviluppa bene nelle lunghe ramificazioni, infetti la pianta; l'epidemia di grafiosi ha iniziato a manifestarsi nel XX° secolo, e le cause che l'hanno scatenata non sono ben chiare: si pensa comunque che una prima forma meno virulenta sia arrivata dal continente asiatico a quello europeo intorno agli anni venti, dove è stata descritta per la prima volta in Olanda; dal continente europeo è approdata al continente nordamericano circa vent'anni dopo, e dopo altri venticinque trenta anni e riapprodata al continente europeo da quello americano, con una forma molto più virulenta e dannosa che ha causato verso la fine degli anni '60 la morte di milioni di piante in tutta europa, e tra queste la quasi totalità di quelle più annose e rappresentative. Chi può smentirmi però se dico che anche il forte aumento dell'inquinamento dalla seconda guerra mondiale in poi ha senz'altro contribuito ad indebolire la tenacia degli olmi e di molte altre specie, favorendo l'insorgere di queste malattie delle piante?
Nell'Italia settentrionale, le specie di olmo presenti sono 2, entrambe molto sensibili alla malattia: l'olmo campestre (Ulmus minor) e l'olmo montano (ulmus glabra). La prima caratteristica e ancora piuttosto frequente nella pianura e nelle zone collinari predilige terreni fertili e profondi, prevalentemente argillosi; la seconda tipica invece delle foreste montane occupa le zone lasciate libere dal faggio e in particolare i versanti settentrionali su suoli pietrosi; nell'Appennino settentrionale l'olmo montano è sopravvissuto in pochissime stazioni con le suddette caratteristiche, ed è veramente difficile incontrarne. La Val Bratica e la Val Parma sono le zone di mia conoscenza con la presenza più cospicua: si tratta comunque di alcune stazioni isolate con pochissime unità ciascuna dove ancora negli ultimi anni sono morte delle piante. A Grammatica ho parlato con un anziano che descriveva la specie come abbondante ancora nel dopoguerra, ricordando anche i particolari usi del suo legname pregiato.
Entrambe le specie comunque non sono ancora state definitivamente sconfitte dalla grafiosi, e di entrambe si possono ancora trovare esemplari isolati di notevoli dimensioni che sembrano essere immuni; entrambe le specie, anche nei loro esemplari più malconci sono in grado di produrre un gran numero di semi dai quali nascono nuove piante vigorose, anche se quelli dell'olmo montano dell'Appennino manifestano una scarsa vitalità; io ho deciso già da molti anni di aiutare gli olmi a resistere, e lo scorso anno 3 degli olmi montani che avevo piantato oltre dieci anni fa sono seccati; è stata una delusione,ho provveduto al loro abbattimento e smaltimento del legno infetto nel minor tempo possibile anche se nella mia zona gli olmi campestri secchi sono presenti in molti posti e pochi provvedono a toglierli.
Se avete terreni in media montagna in versanti settentrionali, ricordatevi anche voi dell'olmo montano.

martedì 1 marzo 2011

Fraxinus oxycarpa (Frassino meridionale o ossifillo o di pianura).



Foto sopra: un frassino meridionale defogliato; sotto: la frenetica attività dei cantaridi.

Mi è sempre molto piaciuta questa specie, come del resto anche gli altri frassini; delle nostre 3 specie è quella che più si adatta ai terreni asfittici, e come gli altri frassini è molto rustico e adattabile, tanto da poter essere tranquillamente utilizzato in situazioni estreme come i rimboschimenti su terreni argillosi franosi.
Infatti in alcuni rimboschimenti del dopoguerra fatti su terreni argillosi principalmente con Pinus nigra e Pinus sylvestris venivano introdotti anche dei Fraxinus oxycarpa, la progenie dei quali ora a distanza di oltre cinquant'anni sta pian piano sostituendo i pini neri austriaci che molto hanno sofferto per le infestazioni di processionaria e le forti siccità a partire dal 2003 in poi.
E' anche un albero che ben caratterizza determinate consociazioni forestali della collina Emiliana dove lo si ritrova all'interno dei cerreti a quote non superiori a 500/600 metri sul livello del mare spesso accompagnato da Malus florentina e Tilia cordata.
Ho sempre consigliato di mettere questa specie anche perchè, come gli altri frassini, non dà problemi d'alcun tipo compresi quelli di carattere fitosanitario; negli ultimi anni però anche nella nostra zona, ha fatto la sua comparsa un coleottero mieloide, tanto bello quanto indesiderato: la Lytta vesicatoria, in italiano cantaride; questi insetti si nutrono esclusivamente delle foglie di frassino meridionale o maggiore verso la fine della primavera; iniziano a consumare intere piante partendo dall'alto e impiegandoci alcuni giorni; le piante rimangono completamente defogliate, e alla loro base gli escrementi emanano un odore sgradevole, per cui anche le sue peculiarità ornamentali vengono meno; le piante poi non riescono a rimettere il fogliame perduto nell'arco della stagione, per cui anche la loro crescita risulta ridotta; se poi hanno allegato semi accade che questi rimangano tutti vani.
Le infestazioni di questi insetti riguardano singole piante per volta, e non si ripresentano regolarmente ad ogni stagione sulle stesse piante.